Benedetto XVI ha aperto i lavori dell'Assemblea Speciale per il Sinodo dei Vescovi per il Medio Oriente, celebrando la Santa Messa in San Pietro. Nell'Omelia ha invitato la Chiesa a compiere la sua missione essendo se stessa: "comunione e testimonianza".
Basilica Vaticana
Venerati Fratelli,
illustri Signori e Signore,
cari fratelli e sorelle!
La Celebrazione eucaristica, rendimento di grazie a Dio per eccellenza, è segnata oggi per noi, radunati presso il Sepolcro di San Pietro, da un motivo straordinario: la grazia di vedere riuniti per la prima volta in un’Assemblea Sinodale, intorno al Vescovo di Roma e Pastore Universale, i Vescovi della regione mediorientale. Tale singolare evento dimostra l’interesse dell’intera Chiesa per la preziosa e amata porzione del Popolo di Dio che vive in Terra Santa e in tutto il Medio Oriente.
Anzitutto eleviamo il nostro ringraziamento al Signore della storia, perché ha permesso che, nonostante vicende spesso difficili e tormentate, il Medio Oriente vedesse sempre, dai tempi di Gesù fino ad oggi, la continuità della presenza dei cristiani. In quelle terre l’unica Chiesa di Cristo si esprime nella varietà di Tradizioni liturgiche, spirituali, culturali e disciplinari delle sei venerande Chiese Orientali Cattoliche sui iuris, come pure nella Tradizione latina. Il fraterno saluto, che rivolgo con grande affetto ai Patriarchi di ognuna di esse, vuole estendersi in questo momento a tutti i fedeli affidati alle loro cure pastorali nei rispettivi Paesi e anche nella diaspora.
In questa Domenica 28.ma del Tempo per annum, la Parola di Dio offre un tema di meditazione che si accosta in modo significativo all’evento sinodale che oggi inauguriamo. La lettura continua del Vangelo di Luca ci conduce all’episodio della guarigione dei dieci lebbrosi, dei quali uno solo, un samaritano, torna indietro a ringraziare Gesù. In connessione con questo testo, la prima lettura, tratta dal Secondo Libro dei Re, racconta la guarigione di Naaman, capo dell’esercito arameo, anch’egli lebbroso, che viene guarito immergendosi sette volte nelle acque del fiume Giordano, secondo l’ordine del profeta Eliseo. Anche Naaman ritorna dal profeta e, riconoscendo in lui il mediatore di Dio, professa la fede nell’unico Signore. Dunque, due malati di lebbra, due non ebrei, che guariscono perché credono alla parola dell’inviato di Dio. Guariscono nel corpo, ma si aprono alla fede, e questa li guarisce nell’anima, cioè li salva.
Il Salmo responsoriale canta questa realtà: “Il Signore ha fatto conoscere la sua salvezza, / agli occhi delle genti ha rivelato la sua giustizia. / Egli si è ricordato del suo amore, / della sua fedeltà alla casa d’Israele” (Sal 98,2-3). Ecco allora il tema: la salvezza è universale, ma passa attraverso una mediazione determinata, storica: la mediazione del popolo di Israele, che diventa poi quella di Gesù Cristo e della Chiesa. La porta della vita è aperta per tutti, ma, appunto, è una “porta”, cioè un passaggio definito e necessario. Lo afferma sinteticamente la formula paolina che abbiamo ascoltato nella Seconda Lettera a Timoteo: “la salvezza che è in Cristo Gesù” (2 Tm 2,10). E’ il mistero dell’universalità della salvezza e al tempo stesso del suo necessario legame con la mediazione storica di Gesù Cristo, preceduta da quella del popolo di Israele e prolungata da quella della Chiesa. Dio è amore e vuole che tutti gli uomini abbiano parte alla sua vita; per realizzare questo disegno Egli, che è Uno e Trino, crea nel mondo un mistero di comunione umano e divino, storico e trascendente: lo crea con il “metodo” – per così dire – dell’alleanza, legandosi con amore fedele e inesauribile agli uomini, formandosi un popolo santo, che diventi una benedizione per tutte le famiglie della terra (cfr Gen 12,3). Si rivela così come il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe (cfr Es 3,6), che vuole condurre il suo popolo alla “terra” della libertà e della pace. Questa “terra” non è di questo mondo; tutto il disegno divino eccede la storia, ma il Signore lo vuole costruire con gli uomini, per gli uomini e negli uomini, a partire dalle coordinate di spazio e di tempo in cui essi vivono e che Lui stesso ha dato.
Di tali coordinate fa parte, con una sua specificità, quello che noi chiamiamo il “Medio Oriente”. Anche questa regione del mondo Dio la vede da una prospettiva diversa, si direbbe “dall’alto”: è la terra di Abramo, di Isacco e di Giacobbe; la terra dell’esodo e del ritorno dall’esilio; la terra del tempio e dei profeti; la terra in cui il Figlio Unigenito è nato da Maria, dove ha vissuto, è morto ed è risorto; la culla della Chiesa, costituita per portare il Vangelo di Cristo sino ai confini del mondo. E noi pure, come credenti, guardiamo al Medio Oriente con questo sguardo, nella prospettiva della storia della salvezza. E’ l’ottica interiore che mi ha guidato nei viaggi apostolici in Turchia, nella Terra Santa - Giordania, Israele, Palestina - e a Cipro, dove ho potuto conoscere da vicino le gioie e le preoccupazioni delle comunità cristiane. Anche per questo ho accolto volentieri la proposta di Patriarchi e Vescovi di convocare un’Assemblea sinodale per riflettere insieme, alla luce della Sacra Scrittura e della Tradizione della Chiesa, sul presente e sul futuro dei fedeli e delle popolazioni del Medio Oriente.
Guardare quella parte del mondo nella prospettiva di Dio significa riconoscere in essa la “culla” di un disegno universale di salvezza nell’amore, un mistero di comunione che si attua nella libertà e perciò chiede agli uomini una risposta. Abramo, i profeti, la Vergine Maria sono i protagonisti di questa risposta, che però ha il suo compimento in Gesù Cristo, figlio di quella stessa terra, ma disceso dal Cielo. Da Lui, dal suo Cuore e dal suo Spirito, è nata la Chiesa, che è pellegrina in questo mondo, ma gli appartiene. La Chiesa è costituita per essere, in mezzo agli uomini, segno e strumento dell’unico e universale progetto salvifico di Dio; essa adempie questa missione semplicemente essendo se stessa, cioè “comunione e testimonianza”, come recita il tema dell’Assemblea sinodale che oggi si apre, e che fa riferimento alla celebre definizione lucana della prima comunità cristiana: “La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola” (At 4,32). Senza comunione non può esserci testimonianza: la grande testimonianza è proprio la vita di comunione. Lo disse chiaramente Gesù: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35). Questa comunione è la vita stessa di Dio che si comunica nello Spirito Santo, mediante Gesù Cristo. E’ dunque un dono, non qualcosa che dobbiamo anzitutto costruire noi con le nostre forze. Ed è proprio per questo che interpella la nostra libertà e attende la nostra risposta: la comunione ci chiede sempre conversione, come dono che va sempre meglio accolto e realizzato. I primi cristiani, a Gerusalemme, erano pochi. Nessuno avrebbe potuto immaginare ciò che poi è accaduto. E la Chiesa vive sempre di quella medesima forza che l’ha fatta partire e crescere. La Pentecoste è l’evento originario ma è anche un dinamismo permanente, e il Sinodo dei Vescovi è un momento privilegiato in cui si può rinnovare nel cammino della Chiesa la grazia della Pentecoste, affinché la Buona Novella sia annunciata con franchezza e possa essere accolta da tutte le genti.
Pertanto, lo scopo di questa Assise sinodale è prevalentemente pastorale. Pur non potendo ignorare la delicata e a volte drammatica situazione sociale e politica di alcuni Paesi, i Pastori delle Chiese in Medio Oriente desiderano concentrarsi sugli aspetti propri della loro missione. Al riguardo, l’Instrumentum laboris, elaborato da un Consiglio Presinodale i cui Membri ringrazio vivamente per il lavoro svolto, ha sottolineato questa finalità ecclesiale dell’Assemblea, rilevando che essa intende, sotto la guida dello Spirito Santo, ravvivare la comunione della Chiesa Cattolica in Medio Oriente. Anzitutto all’interno di ciascuna Chiesa, tra tutti i suoi membri: Patriarca, Vescovi, sacerdoti, religiosi, persone di vita consacrata e laici. E, quindi, nei rapporti con le altre Chiese. La vita ecclesiale, così corroborata, vedrà svilupparsi frutti assai positivi nel cammino ecumenico con le altre Chiese e Comunità ecclesiali presenti in Medio Oriente. Questa occasione è poi propizia per proseguire costruttivamente il dialogo con gli ebrei, ai quali ci lega in modo indissolubile la lunga storia dell’Alleanza, come pure con i musulmani.
I lavori dell’Assise sinodale sono, inoltre, orientati alla testimonianza dei cristiani a livello personale, familiare e sociale. Questo richiede di rafforzare la loro identità cristiana mediante la Parola di Dio e i Sacramenti. Tutti auspichiamo che i fedeli sentano la gioia di vivere in Terra Santa, terra benedetta dalla presenza e dal glorioso mistero pasquale del Signore Gesù Cristo. Lungo i secoli quei Luoghi hanno attirato moltitudini di pellegrini ed anche comunità religiose maschili e femminili, che hanno considerato un grande privilegio il poter vivere e rendere testimonianza nella Terra di Gesù. Nonostante le difficoltà, i cristiani di Terra Santa sono chiamati a ravvivare la coscienza di essere pietre vive della Chiesa in Medio Oriente, presso i Luoghi santi della nostra salvezza. Ma quello di vivere dignitosamente nella propria patria è anzitutto un diritto umano fondamentale: perciò occorre favorire condizioni di pace e di giustizia, indispensabili per uno sviluppo armonioso di tutti gli abitanti della regione. Tutti dunque sono chiamati a dare il proprio contributo: la comunità internazionale, sostenendo un cammino affidabile, leale e costruttivo verso la pace; le religioni maggiormente presenti nella regione, nel promuovere i valori spirituali e culturali che uniscono gli uomini ed escludono ogni espressione di violenza. I cristiani continueranno a dare il loro contributo non soltanto con le opere di promozione sociale, quali gli istituti di educazione e di sanità, ma soprattutto con lo spirito delle Beatitudini evangeliche, che anima la pratica del perdono e della riconciliazione. In tale impegno essi avranno sempre l’appoggio di tutta la Chiesa, come attesta solennemente la presenza qui dei Delegati degli Episcopati di altri continenti.
Cari amici, affidiamo i lavori dell’Assemblea sinodale per il Medio Oriente ai numerosi Santi e Sante di quella terra benedetta; invochiamo su di essa la costante protezione della Beata Vergine Maria, affinché le prossime giornate di preghiera, di riflessione e di comunione fraterna siano portatrici di buoni frutti per il presente e il futuro delle care popolazioni mediorientali. Ad esse rivolgiamo con tutto il cuore il saluto augurale: “Pace a te e pace alla tua casa e pace a quanto ti appartiene!” (1Sam 25,6).
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