Omelia di S. Em. il Cardinal Crescenzio Sepe, Arcivescovo di Napoli

Cari fratelli e sorelle,

mentre ci accingiamo a compiere il pellegrinaggio che da questa bella città ci porterà domani a entrare nella casa di Maria, a Loreto, celebriamo l’Eucaristia nella solennità del SS. Corpo e Sangue di Cristo per cibarci di questo Corpo e di questo Sangue che è fonte di vigore e di vita per il nostro camminare.

È Cristo stesso che ci invita a questo banchetto: “Vieni fratello, vieni alla cena”.
Abbiamo raccolto l’invito e siamo venuti da tante parti di Italia e del mondo per confermare la nostra fede, rafforzare la nostra speranza, alimentare la nostra carità.

Ci siamo messi in viaggio per vivere una esperienza forte, per realizzare un itinerario di spiritualità, per uscire da noi stessi, spesso bloccati da recinti che danno falsa sicurezza perché poggiati su chiusure e steccati.

“Esci dalla tua terra”, comanda Dio ad Abramo e a Mosè ordina di liberare il popolo che, uscendo dall’Egitto, fa l’esperienza spirituale dell’Esodo.

Lo stesso Gesù di Nazareth, nel suo ministero pubblico, lascia la sua casa e dalla Galilea si mette in viaggio per Gerusalemme dove compie la sua Missione offrendo il suo Corpo e il suo Sangue come nuova ed eterna alleanza con ciascuno di noi.

Venite! Ci siamo messi in cammino e, compiendo questo pellegrinaggio, vogliamo testimoniare che non abbiamo paura di attraversare le vie del mondo; che vogliamo comunicare agli altri quello che vediamo e sentiamo: l’incontro con Cristo, l’avvenimento che ha cambiato la nostra vita. Siamo venuti per rappresentare e trasmettere la nostra fede, che è ricerca dell’Altro, dell’Assoluto, ma anche per farci prossimo, amico e fratello di tutti.

Siamo pellegrini, e non vagabondi, perché ci sentiamo spinti da qualcosa, da Qualcuno che si è fatto nostro fratello e ha donato se stesso per noi gratuitamente. Siamo desiderosi di perseguire un fine, di raggiungere una meta. Pellegrini per stare insieme, anche se non ci conosciamo, accomunati però dalla volontà di dare senso alla propria vita, per riflettere sulle proprie scelte e sulle proprie convinzioni, per esprimere la propria appartenenza, per stare con il fratello e con lui condividere la bellezza del sacrificio e della sofferenza, che portano poi anche alla condivisione della gioia che viene dal conseguimento dell’obiettivo e dall’incontro agognato.

Il pellegrino non è mai un “homo solus” e, quindi, il pellegrinaggio è un cammino interiore per uscire dal proprio io; è partecipazione; è manifestazione di un comune sentire; è esercitazione spirituale, corale e pubblica; è denuncia dei propri limiti; è esternazione del bisogno di certezza, di verità, di comprensione, di amore, di giustizia, di pace; è l’uomo che mette da parte il proprio orgoglio e le proprie sicurezze, le proprie conquiste e i propri successi, le proprie vanità e la propria arroganza, e rende palesi i propri dubbi e le proprie miserie umane e spirituali.

Il pellegrino, insomma, è l’uomo che mette da parte la sua superbia e le sue ambizioni smodate, il suo arrivismo e la sua spregiudicatezza, per farsi mendicante, e cercare il riferimento appagante, il trascendente, l’Amore.

Il pellegrinaggio è, dunque, un atto di amore, perché è donarsi a Cristo, è offerta della propria disponibilità ad aprirsi agli altri e al diverso da sé; a capire, accogliere ed aiutare il compagno di viaggio; a soccorrere il fratello in difficoltà.

Quanto diverso e migliore sarebbe il mondo, quanto più giusta e più sana sarebbe la nostra società se ci dimostrassimo bisognosi quali siamo e ci facessimo, tutti e spesso, mendicanti della verità, della pace e della giustizia; se ci rendessimo pellegrini, attraverso la mediazione della nostra Madre Celeste, verso Colui che non tradisce, che ha donato il Suo amore senza riserve e senza contropartite: questo è il mio Corpo; questo è il mio Sangue donati per voi.           

Sembra una utopia, questa, sembra un sogno, ma noi non vogliamo spezzare e distruggere i sogni. Non dobbiamo farci rubare la speranza dell’alba del nuovo giorno, la speranza del cambiamento, la speranza del ravvedimento e del riscatto. Resta per noi l’impegno ad operare in questa direzione, ad offrire il nostro esempio e la nostra testimonianza. Non siamo soli e non siamo pochi.

E mi piace riproporre, a tale proposito e in questa occasione, il ricordo, che rende felici, delle tantissime persone che si sono fatte pellegrine ed hanno percorso le vie del nostro Paese e del mondo, per venire in questa terra marchigiana, come in passato in Campania e in Abruzzo, a testimoniare la propria fede attraverso atti di solidarietà umana e di carità cristiana in favore dei tanti fratelli colpiti dalla violenza del terremoto e privati degli affetti più cari. Li vogliamo ricordare con gratitudine ed ammirazione in questa nostra Eucaristia, facendo memoria delle tante vittime e del dolore di tante famiglie provate da lutti e distruzione, senza dimenticare anche i tanti lavoratori colpiti dalla crisi economica.

Come torna edificante ed esaltante il riscontrare una così larga presenza, in questo stadio, soprattutto di voi giovani che con la vostra partecipazione, costituite l’espressione vera e l’interpretazione autentica dello spirito di questo raduno spirituale e di questo itinerario mariano.

Il pellegrino è giovane dentro, prescindendo dall’età anagrafica, perché non si ferma, non si appaga, va alla ricerca di emozioni e di mete che esaltino e fanno uscire dall’ordinario e dal quotidiano, e portino, per quanto possibile, oltre l’umano e il normale. Siete voi, cari giovani, i più autentici protagonisti del pellegrinaggio, per il vostro entusiasmo e la freschezza dei vostri sentimenti, per la voglia di scoprire il nuovo, per la caparbietà con la quale sapete raggiungere obiettivi e traguardi, per la capacità di cogliere il vero ed il bello, per l’acume e la curiosità che sapete mettere nell’affrontare la vita ed i suoi misteri, per la prontezza nel donare.

Consentitemi di dire, ricorrendo ad una bellissima espressione del grande pontefice Giovanni Paolo II, che siete, cari giovani, “le vere sentinelle della vita”. Siete, insomma, la nostra forza. Siete il vero investimento sul futuro, anzi siete il vero presente a condizione che noi adulti, in ragione del nostro ruolo, sin da ora sapremo immaginare e progettare, per poi realizzare.

Ma quanto facciamo per i giovani? Non è demagogia porre questa domanda. La risposta è piena di amarezza per le tante delusioni offerte, per le tante aspirazioni soffocate, per le tante rinunce e sacrifici fatti senza offrire concrete prospettive di realizzazioni.

Senza voler assolutamente emettere giudizi, né attribuire colpe, tuttavia non possiamo evitare di levare un grido di dolore e dare voce al bisogno e alla sofferenza di tanti. E lo facciamo, come Chiesa, con profonda umiltà, nello spirito del pellegrino mendicante, mentre si avvia la marcia della fede, di preghiera e di ringraziamento verso il Santuario della Madonna di Loreto, ai cui piedi vogliamo deporre i destini e le aspirazioni dei popoli, le povertà e le sofferenze del mondo, il futuro del nostro Paese, le aspirazioni dei nostri giovani. Sì, alla protezione della Vergine di Loreto vogliamo affidare tutti i giovani del mondo, i loro desideri, il loro entusiasmo, la loro voglia di fare.

E anche a voi, cari fratelli e sorelle, cari giovani, cari pellegrini, tutti, rivolgo il mio augurio di sempre: ‘A Maronna v’accumpagne!