Accetto di parlare qui solo perché questo mi fa essere più cosciente di essere, io e i miei amici, più mendicante dell’amore di Cristo di quanto lo eravamo dieci anni fa, quando è iniziata l’avventura di Ca’ Edimar e di quanto lo ero prima di decidere di partecipare a questo pellegrinaggio.
E allo stesso tempo, accetto di parlare, anche a nome dei ragazzi che, essendo minorenni, non possono intervenire e dire loro stessi quello che di loro vi dirò io, perché mi fa essere più grato del grande dono che Dio ci ha fatto prendendo la nostra povera umanità per farne un segno potente del Suo amore e della Sua pietà per tutti gli uomini. Perché quell’abbraccio e quello sguardo nato nell’umanità di Gesù duemila anni fa, continui a generare negli uomini una novità e una speranza per sé, prima sconosciute.
L’altra sera uno dei ragazzi con i quali ho avuto molto da discutere ultimamente mi scriveva, a notte tarda, questo biglietto: “spero che queste mie divergenze con te non rovinino il rapporto con te, perché io sarò sempre davanti alla tua porta a chiederti quell’abbraccio che mi hai dato 4 anni fa pochi giorni dopo che mi hai accolto.” Era già stato accolto in tante comunità ed ora era accolto nella nostra, una grande casa a Padova dove vivo un’esperienza di fraternità con altre famiglie che ha come frutto l’accoglienza in casa di ragazzi che non possono più stare nella loro. Ma non è quella la novità per lui, quello che si ricorda dopo 4 anni è quell’abbraccio, quello sguardo, almeno per un istante – perché di più non siamo capaci – così denso di gratuità, di pura gratuità – che colpisce per sempre e diventa fonte di una speranza anche quando – ed è il più delle volte, perché siamo limitati – non è più così gratuito. E la tristezza che non è sempre così gratuito acquisce la consapevolezza che l’istante di pura gratuità è opera di un Altro.
Solo se si partecipa di qualcosa di divino si può abbracciare e accogliere in un modo così umano, si può perdonare la diversità dell’altro che punge. Non è una nostra capacità, ma qualcosa che ti viene dato e che ti sorprende. E’ una gratuità che irrompe e risveglia in chi la vive o la riceve un’attrattiva irresistibile, come quella di una ragazza che ci diceva: “Vengo qui perché in cambio del vostro rapporto con me voi non mi chiedete niente, mentre anche mia madre, quando mi fa il letto, è per poi chiedermi qualcosa”.
Un abbraccio così, uno sguardo così è una novità assoluta che si radica nel cuore e nessuna resistenza, nessuna incapacità di cambiare può spegnere ciò che essa accende. E’ una novità che fa iniziare un cammino, una strada che può essere faticosa e a volte contraddittoria, ma è una strada piena del desiderio di un sì.
Il Mistero attende quel nostro sì dal momento in cui ci ha fatti. A Ca’ Edimar facciamo compagnia al Mistero che attende quel sì da chi arriva lì, chiuso e arrabbiato con tutto e tutti, e facciamo compagnia all’umanità di chi, grande o piccolo, cinico o fragile, quel sì non lo sa ancora dire. E quando quel sì appare all’orizzonte, quando quel sì – o un perché no - affiora in un ragazzo, non puoi mentire dicendo “Ce l’abbiamo fatta”, puoi solo stupirti di qualcosa che accade, di Cristo che accade in quel sì.
Come mi sono stupito io, da quel giorno in cui uno sguardo su di me e su mia figlia mi ha fatto di schianto percepire che, con una figlia handicappata, si poteva aprire un cammino di conoscenza inaspettato. Non uno sguardo che mi ha risolto il problema di come stare con un dolore così grande, ma che mi ha fatto desiderare di nuovo la felicità per me, per la mia famiglia, per mia figlia, per i miei amici. Non un ragionamento, non una spiegazione sul senso del dolore, ma uno sguardo, un abbraccio, un fatto. Carron, tempo fa, ci diceva: “Lui, Cristo, non risponde alle nostre difficoltà con un ragionamento, ma con un fatto, con un fatto così attraente che suscita una speranza che non mi potrei sognare.”
Non siamo diventati più bravi ad accogliere Anna, siamo stati destati ad imparare perché Anna era al mondo, che cosa ci sta a fare un’esperienza di limite e di dolore con il nostro desiderio di felicità e di bellezza. Uno sguardo che fa desiderare, un desiderio che fa domandare, una domanda che capisce da dove nasce quello sguardo.
E questo cammino ha preso anche altri che non stavano più con noi solo perché chi ha una figlia handicappata ha sempre bisogno di aiuto, ma perché interessati a questa sfida per la vita, per sé. Così è nata una comunione, un’amicizia senza aver fatto niente per costruirla se non andando dietro ognuno a questa sfida per sé, in particolare con Riccardo e la sua famiglia. E la nostra casa è diventata il luogo di una memoria, perché Anna, con il suo bisogno continuo di tutto, sembrava dicesse “Chi cercate?” e più questo Chi – Cristo – diventava familiare, più rispondere ai bisogni di Anna diventava la carne di questa familiarità, di questa tenerezza con il Mistero.
Così quando Anna è morta, a quindici anni, ci siamo ritrovati addosso questo desiderio di conoscenza più vivo che mai e questa vita di comunione radicata in questo desiderio che tendeva inevitabilmente a diventare una casa. Non abbiamo deciso di fare un’opera anche se poi è nata un’opera; abbiamo deciso semplicemente di continuare quello che Anna e lo sguardo di Don Giussani avevano iniziato in noi e di dare forma a questa decisione con una casa dove ospitare una “nuova Anna”. Così è nata Casa Edimar, poi diventata Ca’ Edimar che dalle nostre parti significa un piccolo villaggio dove vivono più famiglie e più persone.
Accogliamo i ragazzi nel senso che offriamo loro l’esperienza che accoglie noi, l’esperienza che perdona noi, che fa ricominciare noi. Non offriamo loro appena qualcosa che ci è accaduto perché nell’educazione non si vive di rendita; offriamo loro qualcosa che sta accadendo a noi, anche tramite loro.
Perché accade qualcosa per noi, quando uno di loro ci dice che suo padre, fortemente attaccato alla sua religione, gli ha dato questo consiglio “Non fidarti mai di nessuno” e lui ha pensato subito “Ma io ho coloro di cui fidarmi e questi sono di una religione che non crede, come nella mia, in un Dio potente e basta, crede in Dio diventato uomo, un uomo di cui si fidano, di cui mi posso fidare anch'io”.
Accade qualcosa per noi quando uno di loro che potrebbe tornare a casa dopo i 18 anni decide di stare ancora con noi perché sì vuole bene alla sua famiglia e la sua famiglia a lui, ma questo non gli basta più per poter diventare grande e non barare più.
Accade qualcosa per noi quando uno di loro dice: “Non sono più arrabbiato con mia madre perché mi ha abbandonato e perché picchiava mio fratello più piccolo, ma da quando ho sentito la testimonianza di uno che ha perdonato coloro che gli hanno ucciso, in quella tragica strage, tutti i suoi cari, ho capito che non mi basta più non essere arrabbiato con lei, voglio perdonarla”.
Accade qualcosa per noi quando un ragazzo dice: Cosa mi sta succedendo? Fino a ieri lo scopo di stare con una ragazza era solo quello di esibire le mie prestazioni sessuali e ora mi ritrovo a dire all’ultima ragazzina di tredici anni che si è detta disponibile: No, non voglio più trattarmi così e non voglio trattare te così. Ti voglio rispettare. Cosa mi sta succedendo Mario?
Non occorre appiccicare nessuna frase imparata per capire cosa sta accadendo. Basta guardare stupiti e domandare, mendicare di non andarsene di fronte a questa Presenza. La mia famiglia, quella di Riccardo e quella di Gianpietro, che si è aggiunta alla nostra compagnia un anno fa, rimaniamo a Ca’ Edimar non perché siamo sempre più bravi ad accogliere, ma perché lì è evidente che Cristo sta accadendo per noi; lì Cristo è amato, osannato, ignorato, tradito come allora, ma come allora sta accadendo.
Per questo non vi chiedo di pregare perché io e i miei amici continuiamo ad essere capaci di questo sguardo e di questo abbraccio, ma perché continuiamo a chiederlo, a desiderarlo per noi, a cercarlo per noi. In questo c'è l'origine di tutto, anche di un'opera.
Uno dei ragazzi che non può essere qui, ma che era già venuto due anni fa, mi ha scritto questo da leggere: “Pregate perché la Madonna ci assista nel momento del bisogno e non mi faccia mai mancare la bellezza e la verità che finalmente ho trovato e sto continuando a vivere nell’abbraccio a Ca’ Edimar e con tanti altri amici. Che possiate vivere questa esperienza al meglio e fino in fondo, scoprendo la verità di questo gesto. Buona nottata.”
Il Papa ci ha detto mercoledì: “La Madonna vi accompagni”. Don Giussani, che abbiamo avuto il dono di incontrare pochi mesi prima della sua morte, ci aveva lasciato, tra le altre, questa consegna: “Pregate la Madonna che porti a compimento ciò che ha iniziato”.
Siamo qui per pregarti o Maria di portare a compimento ciò che è iniziato in ognuno di noi che siamo qui, anche per chi, come alcuni nostri ragazzi, è all’inizio di questo cammino, anche per chi vivesse il suo inizio qui stasera, stanotte. Perché sappiamo che Tu, essendo Madre, non vedi l’ora di compiere ciò che lo Spirito inizia in ognuno di noi, come lo hai compiuto nel tuo grembo, permettendo a Dio di diventare da quella notte “Colui che è tra noi”.
Grazie.