Omelia del Card. Kevin J. Farrell - Concelebrazione Eucaristica del 39° Pellegrinaggio
Solennità della SS.ma Trinità
(Es. 34,4b-6.8-9; 2 Cor 13,11-13; Gv 3,16-18)
«Se ho trovato grazia ai tuoi occhi, Signore, che il Signore cammini in mezzo a noi» (Es 34,9). È questa la bella preghiera di Mosè sul Sinai, che abbiamo ascoltato nella prima lettura.
Cari confratelli nel sacerdozio e cari giovani,
anche noi ora, in questa serata, all’inizio di questo pellegrinaggio, chiediamo umilmente al Signore che “cammini in mezzo a noi”, che sia presente nelle menti e nei cuori di tutti coloro che affronteranno questa lunga marcia nella notte.
Il vostro stato d’animo all’inizio di questo pellegrinaggio molto verosimilmente fa da specchio alla vostra condizione esistenziale. Alcuni di voi sono molto motivati, hanno uno scopo spirituale ben chiaro e un desiderio vivo di incontrare il Signore presente nelle preghiere, nei canti, nella testimonianza degli altri, nel silenzio della notte. Altri, probabilmente, si trovano qui senza nemmeno sapere bene cosa cercano, cosa si aspettano, verso cosa si muovono. Semplicemente sono qui. Forse invitati da altri, forse per curiosità, forse solo per una abitudine oramai consolidata.
Così è anche la nostra vita. A volte ci capita di essere molto determinati, di inseguire obiettivi chiari e, anche nella nostra vita spirituale, ci muoviamo con slancio, spinti da solide certezze. In altri momenti, invece, ci sembra di aver perso le motivazioni di un tempo, siamo un po’ smarriti, avanziamo quasi senza meta, per inerzia, e le solide certezze che avevamo ci sembrano ora sbiadite.
È proprio in questi momenti che ci viene in aiuto la Chiesa. Quando attraversiamo questi momenti di tiepidezza, o di vero e proprio smarrimento, quando la certezza di un destino buono che sostiene la nostra vita viene meno, allora la vicinanza dei fratelli, la loro amicizia, la comunione speciale che lo Spirito Santo crea, ci sostengono e ci sospingono in avanti, nonostante la nostra debolezza. Sono certo che questo è quello che molti di voi sperimenteranno in questo pellegrinaggio. Forse partirete con la mestizia nel cuore, con la mente ancora “affollata” da pensieri negativi: il ricordo di eventi dolorosi vissuti di recente, le opportunità mancate, alcune relazioni incrinatesi e difficili da ristabilire. Ma sono certo che lo stare insieme, fianco a fianco, anche senza parlare, vi aiuterà. Sarà come una medicina spirituale che passo dopo passo, ora dopo ora, farà riemergere nel vostro animo la certezza che la vita è comunque buona, che ha ancora valore la vostra fatica e il vostro impegno nella scuola, nel lavoro, nella famiglia dove vivete, e che voi stessi avete un valore infinito agli occhi di Dio, nonostante tutto, nonostante l’incoerenza e il peccato.
Questa certezza non è frutto di una suggestione emotiva. Deriva dalla presenza viva di Dio che “cammina in mezzo a noi”, come abbiamo ricordato all’inizio. Dio è in sé stesso comunione, e crea comunione. La solennità della Santissima Trinità che celebriamo in questa S. Messa ci ricorda proprio questa consolante verità. Dio non è una infinita solitudine, ma un mistero di comunione. È una relazione intima di amore fra persone divine che, a sua volta, crea legami profondi di comunione fra le persone umane. Anzi, Dio lo si incontra proprio attraverso la comunione dei fedeli, cioè attraverso la comunione soprannaturale che esiste fra tutti coloro che sono stati toccati dalla grazia. È nella fraternità dei discepoli che si può “toccare con mano” la presenza viva del Signore. Gesù risorto, che attraverso lo Spirito Santo abita nei cuori dei credenti, crea modi nuovi di relazionarsi agli altri, crea una vicinanza intima, una unità di intenti e di giudizio sulla realtà, una capacità di compassione, di amicizia, una capacità di perdono e di reciproca pietà che non sono solo umane, ma sono un prodigio della grazia. Sono un segno inequivocabile del Signore che è vivo e “cammina in mezzo a noi”. E chiunque entra in contatto con questa comunione, sconosciuta al mondo, questa nuova forma di fraternità che è la Chiesa, costui entra in contatto con il Dio-Trinità.
Il mio augurio allora è che questo pellegrinaggio sia per tutti voi una nuova, forte esperienza di Dio-Trinità e della Chiesa-comunione.
Esperienza di Dio-Trinità, che ci accoglie con il suo amore e ci sostiene con la sua grazia, che dà senso alla nostra vita mostrandoci la coerenza e la bellezza di tutto ciò che esiste e ci circonda: la natura, gli altri, la nostra storia.
E rinnovata esperienza della Chiesa: una compagnia di fratelli, di amici, di “compagni di viaggio” che non ci giudicano per le nostre miserie, che non hanno pretese su di noi, che non ci impongono i pesi delle mode e dei tanti moralismi che il mondo crea in continuazione. La Chiesa, infatti, è quel luogo, unico al mondo, dove ognuno di noi scopre che è “ben voluto” da Dio e dagli altri, che il suo essere, il suo esistere ha valore a prescindere dai successi personali. È il luogo dove ogni uomo può incontrare lo sguardo buono di fratelli, sorelle, padri, madri, lieti di condividere con lui il cammino della vita, con le sue fatiche, le sue ferite, le sue delusioni ma anche pieno di gioie, di soddisfazioni e di speranza.
Il tema che farà da sfondo al pellegrinaggio di quest’anno è la domanda di Gesù a Pietro: «Mi ami tu?». Vorrei, a tal proposito, richiamare alcune profondi pensieri che il Santo Padre ha sviluppato partendo da questo episodio, parlando di recente al clero romano.
Sappiamo che questo dialogo fra Gesù e Pietro avviene presso il lago di Tiberiade, dopo il tradimento di Pietro e dopo la risurrezione di Cristo. Papa Francesco mette in evidenza un modo particolare di procedere di Gesù. Chiedendo nella prima domanda: «Mi ami più di costoro?» (v. 15), Gesù parte da qualcosa che forse nella stessa cerchia degli apostoli era riconosciuto da tutti: un attaccamento e un affetto per il Maestro, da parte di Pietro, superiore agli altri. Nella seconda domanda, invece, Gesù chiede semplicemente «mi ami?» (v. 16) senza più paragoni con gli altri, così da togliere ogni desiderio di grandezza e rivalità dall’animo di Simone. E infine, nella terza domanda, chiede: «mi vuoi bene come amico?» (v. 17), che non contiene nessun rimprovero o correzione e corrisponde ad un desiderio profondo di Pietro: quello di essere “amico di Gesù”. Un desiderio che in quel momento rischiava di spegnersi. Il Papa osserva infatti: «Forse la più grande tentazione del demonio era questa: insinuare in Simon Pietro l’idea di non ritenersi degno di essere amico di Gesù perché lo aveva tradito. Ma il Signore è fedele. Sempre», e il Papa continua dicendo: «L’amicizia possiede questa grazia: che un amico che è più fedele può, con la sua fedeltà, rendere fedele l’altro che non lo è tanto. E se si tratta di Gesù, Lui più di chiunque altro ha il potere di rendere fedeli i suoi amici. È in questa fede – la fede in un Gesù amico fedele – che Simon Pietro viene confermato» (Discorso durante l’Incontro con i parroci della Diocesi di Roma, 2 marzo 2017).
Carissimi giovani, invito tutti voi ad applicare a voi stessi questa domanda di Cristo come ci suggerisce di fare il Papa. Nonostante i vostri tradimenti, più o meno grandi, Gesù non vi rifiuta la sua amicizia, anzi in questa notte vi chiede ancora una volta di amarlo perché non vi ritiene indegni di essere suoi amici. Anzi, Lui che è l’amico fedele, ha il potere di rendere anche voi fedeli. Sono certo che, come Pietro, questo è il desiderio profondo che abita il cuore di tutti voi, anche se inconsapevolmente. Il desiderio, cioè, di essere amici di Cristo, di poterlo amare nella vostra debolezza, di essere da Lui accettati e considerati degni della sua amicizia, di essere da Lui confermati nella fede e da Lui accompagnati nel cammino della vita.
Che il Signore si degni in questa notte di “camminare in mezzo a noi” e conceda a tutti noi di non perdere mai la sua amicizia.